I presupposti per passare a una giustizia digitale (quindi più moderna,
veloce ed efficiente) ci sono tutti; eppure tutti fanno finta di non
vederli e vanno avanti legittimando il protrarsi di prassi obsolete e
non più conformi alla legge: è questo il caso delle comunicazioni di
cancelleria.
Chi deve fare il primo passo?
Ci sono un giudice,
un avvocato e un cancelliere che, alla cena di Natale del tribunale del
dicembre 2005, discutono della digitalizzazione della giustizia
italiana.
Il primo dice: “Noi siamo pronti da tempo, il problema è
che gli avvocati, appena c’è qualche proposta di riforma del processo
civile, sollevano un putiferio”.
Il secondo risponde: “Ma anche noi
siamo pronti; però, tutte le volte che abbiamo a che fare con gli uffici
giudiziari, ci sentiamo dire che devono ancora sistemare alcune cose e,
nel frattempo, si va avanti coi vecchi metodi. Quindi non possiamo fare
altro che adattarci”.
Infine il terzo dice: “Guardate che anche noi
siamo pronti in teoria; però, finché lo Stato non ci mette a
disposizione tutte le risorse necessarie per la transizione, non
possiamo fare gran che.”
Questo “allegro” siparietto si ripresenta
identico a tutte le cene di Natale successive, fino a quella del 2012,
quando il giudice e il cancelliere chiudono il discorso sottolineando:
“Beh, in fondo, io l’anno prossimo vado in pensione. Perché dovrei
cambiare proprio ora? Sarà un problema di quelli che vengono dopo di
noi”. E l’avvocato: “A me manca ancora un po’ alla pensione. Tuttavia,
se per voi è così, perché dovrei darmi da fare io per cambiare le
cose?”.
Fu così che nulla cambiò per anni e i tribunali continuarono a
riempirsi di carta e a dilatare le loro tempistiche. E molti iniziarono
a pensare che, in fondo, sarebbe stato sempre così, per i secoli dei
secoli, fino al collasso.
Ma ad un certo punto arriva il deus ex
machina, il legislatore, che dice: “Basta! adesso stabilisco che l’uso
della tecnologia è obbligatorio per tutti coloro che partecipano alla
macchina della giustizia”.
Una storia di norme disapplicate
Sembra
una barzelletta, ma più che altro è una storia triste: la triste storia
della giustizia civile negli ultimi anni. Le date non sono state scelte
a caso. Il 2005 è l’anno del Codice dell’Amministrazione digitale che
ha posto tutte le basi per un pieno utilizzo delle tecnologie
nell’attività amministrativa (compresa quella degli uffici giudiziari).
Norma rimasta in gran parte disapplicata. Una di quelle numerose norme
vigenti ma, per qualche oscuro principio di interpretazione delle leggi,
non cogenti. Quelle norme che… “ma sì, lo so che dovrebbe essere X; ma
tanto tutti fanno ancora Y quindi faccio anch’io Y.”
Il 2012 è invece
l’anno del rivoluzionario Decreto Crescita 2.0, quello che ha posto le
basi dell’agenda digitale italiana e che ha introdotto l’obbligo di
inviare tutte le comunicazioni di cancelleria (nell’ambito di
procedimenti civili) a mezzo PEC. Un’altra norma rimasta sulla carta,
dato che gli avvocati continuano a ricevere montagne di fax.
PEC oppure ancora FAX?
Tutti
gli avvocati si sono dovuti dotare di indirizzo PEC, hanno dovuto
comunicarlo ai propri ordini professionali, hanno dovuto inserirlo negli
atti giudiziari. Perché tutto ciò se poi si continua ad usare il fax?
Conosco
avvocati che il fax non lo usano più, se non appunto per ricevere le
comunicazioni di cancelleria. E altri che hanno dovuto crearsi un fax
virtuale via Internet per ricevere tali comunicazioni (mi riferisco a
quei sistemi online che ti attribuiscono un numero di fax virtuale e che
ti girano via email i PDF dei fax ricevuti). Siamo al paradosso: usare
Internet per ricevere, via fax, ciò che potresti ricevere direttamente
via email.
Quello delle comunicazioni di cancelleria è solo una punta
del grande iceberg che va sotto il nome di digitalizzazione della
giustizia (e, più in generale, della pubblica amministrazione italiana).
Tra
qualche mese arriverà anche il momento del famigerato processo civile
telematico (obbligatorio da giugno 2014, salvo qualche odiosa proroga);
ma credo che questo sia il primo passo essenziale. Suvvia, siamo seri!
Nel 2013 non ci possiamo più permettere di stampare due fogli A4 per una
comunicazione di 3 o 4 righe al massimo; e ciò sia in un’ottica di
tutela ambientale (le foreste sono più preziose della nostra ritrosia al
cambiamento), sia in un’ottica di semplice risparmio di spesa (la
carta, i toner e le linee telefoniche costano).
Spetta a ciascuno di noi
Nei
giorni scorsi ho provocatoriamente lanciato una campagna di
sensibilizzazione che invitava tutti gli avvocati a stampare e portare
con sé una copia dell’art. 136 c.p.c. aggiornato e a mostrarla a tutti
coloro che facciano finta di non sapere che il mondo è cambiato.
Lo
spirito della campagna è ovviamente goliardico, ma credo davvero che
l’innovazione arrivi anche dalla presa di coscienza e di responsabilità
di ciascuno di noi. Se tutti gli avvocati iniziassero a chiedere, con
fermezza, l’utilizzo della PEC (concreto e non solo ipotetico!), di
certo gli uffici giudiziari non potrebbero continuare nell’indifferenza.
Se invece si persiste con la politica (ahimè molto in voga) del “non
spetta a me”, il cambiamento non arriverà mai e non si farà altro che
perpetuare la scena della cena di Natale descritta nell’incipit.
____________
Articolo uscito originariamente su LaLeggePerTutti il 3 luglio 2013 (vedi).