Faccio una premessa, a scanso di equivoci: a me il termine "pirateria" fa venire l'orticaria sulla pelle anche solo a sentirlo. L'accostamento delle pratiche dei pirati (quelli veri, intendo, cioè quelli che assaltavano le navi) ai comportamenti tipici del mondo digitale è già improprio di per sé. E se da un lato posso tollerarlo quando si parla di crimine organizzato che si occupa di diffondere materiale riprodotto abusivamente in violazione del copyright, dall'altro non riesco proprio ad accettarlo quando si parla del ragazzino che si scarica qualche brano sul pc tramite peer-to-peer. Ma queste sono valutazioni del tutto personali, e quindi soprassediamo.
Quello che non è accettabile è vedere tale termine utilizzato ormai ovunque anche quando c'entra ben poco con il contesto. Prendiamo ad esempio l'articolo uscito lo scorso 7 ottobre su Repubblica (cartaceo) nel quale venivano esposte egregiamente le nuove prospettive sull'editoria elettronica. A parte qualche imprecisione, devo dire che si tratta di un articolo degno del prestigio della testata su cui è pubblicato. Il problema infatti non sta nel testo dell'articolo, ma nel titolo! Vi invito a leggere l'articolo e a dirmi che cosa c'entrano i "pirati del libro" con i concetti esposti nel testo.
Proporrei una tassa sull'uso del termine "pirateria", in modo che chi lo usa a sproposito (cioè più o meno nel 90% dei casi) deve pagare una somma all'erario; somma con cui poi si potranno finanziare archivi pubblici e biblioteche o in generale fare investimenti sulla cultura.
Quello che non è accettabile è vedere tale termine utilizzato ormai ovunque anche quando c'entra ben poco con il contesto. Prendiamo ad esempio l'articolo uscito lo scorso 7 ottobre su Repubblica (cartaceo) nel quale venivano esposte egregiamente le nuove prospettive sull'editoria elettronica. A parte qualche imprecisione, devo dire che si tratta di un articolo degno del prestigio della testata su cui è pubblicato. Il problema infatti non sta nel testo dell'articolo, ma nel titolo! Vi invito a leggere l'articolo e a dirmi che cosa c'entrano i "pirati del libro" con i concetti esposti nel testo.
Proporrei una tassa sull'uso del termine "pirateria", in modo che chi lo usa a sproposito (cioè più o meno nel 90% dei casi) deve pagare una somma all'erario; somma con cui poi si potranno finanziare archivi pubblici e biblioteche o in generale fare investimenti sulla cultura.
Commenti
Trovo ben più odioso però quando avviene il processo inverso, ovvero quando un termine originariamente positivo viene trasformato in negativo. Pensate ad "hacker": ormai i giornalisti seri la sapranno la differenza tra hacker e cracker, tuttavia preferiscono parlare nel linguaggio dei loro lettori (d'altra parte cracker fa pensare ai biscotti, e hacker è molto più cool ed esotico). E adesso che parola usiamo per definire i veri hacker e farci capire dalle masse?
Anche io ho pensato ad "hacker"!
Non capisco perché in questo caso vi sembri fuori luogo il termine 'pirateria'; cosa c'è di sbagliato?
Ora il termine è diventato di uso comune ed è molto difficile invertire la tendenza. Non basta chiamare il signor Zingarelli e chiedergli di modificare la voce, ma bisogna poi persuadere chi lo usa ad usarlo in maniera appropriata. Ad ogni modo ognuno è libero di pensarla come vuole. Io rimango dell'idea che accostare uno studente che scarica un libro molto raro e non più distribuito da Emule per la sua tesi di laurea ad un "pirata" (magari al pari dell'associazione criminale che sfrutta i "vucumprà" per farli girare con i DVD contraffatti) sia davvero aberrante.