Tassa sull'uso del terminie *pirateria*

Faccio una premessa, a scanso di equivoci: a me il termine "pirateria" fa venire l'orticaria sulla pelle anche solo a sentirlo. L'accostamento delle pratiche dei pirati (quelli veri, intendo, cioè quelli che assaltavano le navi) ai comportamenti tipici del mondo digitale è già improprio di per sé. E se da un lato posso tollerarlo quando si parla di crimine organizzato che si occupa di diffondere materiale riprodotto abusivamente in violazione del copyright, dall'altro non riesco proprio ad accettarlo quando si parla del ragazzino che si scarica qualche brano sul pc tramite peer-to-peer. Ma queste sono valutazioni del tutto personali, e quindi soprassediamo.
Quello che non è accettabile è vedere tale termine utilizzato ormai ovunque anche quando c'entra ben poco con il contesto. Prendiamo ad esempio l'articolo uscito lo scorso 7 ottobre su Repubblica (cartaceo) nel quale venivano esposte egregiamente le nuove prospettive sull'editoria elettronica. A parte qualche imprecisione, devo dire che si tratta di un articolo degno del prestigio della testata su cui è pubblicato. Il problema infatti non sta nel testo dell'articolo, ma nel titolo! Vi invito a leggere l'articolo e a dirmi che cosa c'entrano i "pirati del libro" con i concetti esposti nel testo.
Proporrei una tassa sull'uso del termine "pirateria", in modo che chi lo usa a sproposito (cioè più o meno nel 90% dei casi) deve pagare una somma all'erario; somma con cui poi si potranno finanziare archivi pubblici e biblioteche o in generale fare investimenti sulla cultura.

Commenti

athos ha detto…
Non posso non darti ragione, tant'è che seguendo il malvezzo per difendere i "diritti digitali" prima che, impropriamente, ci chiamino gli altri abbiamo deciso di chiamarci noi Partito Pirata. Ben altra cosa è Rickard Folkvinge dal pirata ma il termine è entrato nell'uso comune e se inizialmente in senso spregiativo ora è assurto a difesa dei diritti dei navigatori della Rete. Athos Gualazzi ass. Partito Pirata
Simone Aliprandi ha detto…
Certo Athos, conosco il vostro ente e le motivazioni per cui avete scelto quel nome. Ma ciò non toglie quel senso di nausea quando sento usare quel termine da gente che non sa cosa intende (fra cui purtroppo gran parte dei giornalisti, anche professionisti). Mi è difficile dire che "pirata" sia uno stile di vita che sta diventando "trendy" e "cool"; comunica sempre quel senso di illecito e medievale che a mio avviso non si addice ai tempi d'oggi e ai fenomeni culturali (complessi e importanti) cui di solito viene applicato.
Luigi Di Liberto ha detto…
Capisco quello che vuoi dire ed hai pienamente ragione, ma ormai prendiamo la cosa con con vena sarcastica e ci identifichiamo nei mitici pirati della Malesia che di negativo non hanno nulla ma anzi molto di positivo.
Federico ha detto…
E' vero, piano piano il termine "pirata" sta assumendo un'accezione positiva. Sta diventando una sorta di 'criminale buono', qualcuno che sovverte leggi (in parte) ingiuste decise da criminali ben peggiori.

Trovo ben più odioso però quando avviene il processo inverso, ovvero quando un termine originariamente positivo viene trasformato in negativo. Pensate ad "hacker": ormai i giornalisti seri la sapranno la differenza tra hacker e cracker, tuttavia preferiscono parlare nel linguaggio dei loro lettori (d'altra parte cracker fa pensare ai biscotti, e hacker è molto più cool ed esotico). E adesso che parola usiamo per definire i veri hacker e farci capire dalle masse?
Naco ha detto…
Fa piacere constatare che c'è tanta gente che, come me, storce il naso quando legge la parola "pirata" usata in simili contesti.
Anche io ho pensato ad "hacker"!
elisa ha detto…
Forse io non ho capito niente, ma mi pare che nell'articolo di 'Repubblica' il termine 'pirata' non sia usato a sproposito. Infatti, a partire dalla frase 'Ma proprio mentre si apre la prospettiva di un nuovo mercato, gli editori affrontano un incubo: la «napsterizzazione dei libri»", mi pare che l'articolo si concentri proprio sul fenomeno emergente della pirateria degli ebook.
Non capisco perché in questo caso vi sembri fuori luogo il termine 'pirateria'; cosa c'è di sbagliato?
Simone Aliprandi ha detto…
Cara Elisa, il fatto che secondo lei accostare il fenomeno descritto nell'articolo con il concetto di "pirateria" sia del tutto normale mi dà ulteriore conferma di quanto temevo. tale termine era nato con l'intento di stigmatizzare le pratiche illegali di organizzazioni criminali dedite alla riproduzione e distribuzione di merce contraffatta. Ma poi il suo ambito semantico è stato ampliato fino ad indicare ogni tipo di attività di acquisizione di materiale protetto da copyright senza autorizzazione (e ciò è avvenuto anche grazie all'opera sotterranea delle lobbies dei produttori e distributori che ovviamente hanno tutto interesse a fare di tutta l'erba un fascio).
Ora il termine è diventato di uso comune ed è molto difficile invertire la tendenza. Non basta chiamare il signor Zingarelli e chiedergli di modificare la voce, ma bisogna poi persuadere chi lo usa ad usarlo in maniera appropriata. Ad ogni modo ognuno è libero di pensarla come vuole. Io rimango dell'idea che accostare uno studente che scarica un libro molto raro e non più distribuito da Emule per la sua tesi di laurea ad un "pirata" (magari al pari dell'associazione criminale che sfrutta i "vucumprà" per farli girare con i DVD contraffatti) sia davvero aberrante.
elisa ha detto…
Ah, grazie del chiarimento, ora ho capito. Sì, in effetti ormai il termine si usa in questo modo, difficile cambiare le cose. Io stessa confesso che uso il termine 'pirata' in entrambi i casi, anche se vedo bene che si tratta di due situazioni molto diverse. Ma anche volendo 'redimermi da questo peccato', mi manca l'alternativa: quale termine si potrebbe usare per indicare chi scarica materiale protetto per uso personale e non per farne commercio?
Simone Aliprandi ha detto…
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