La bizzarra trademark policy dell'azienda Canichepassione e la (non) tutela degli hashtag

Mi hanno segnalato una trademark policy alquanto bizzarra in cui l'azienda modenese CANICHEPASSIONE (attiva nel settore dei prodotti per animali domestici) cerca di spiegare al pubblico il proprio approccio alla tutela dei marchi. I marchi in questione pare siano CANICHEPASSIONE (che identifica la ditta), ma anche APERICANE e APERIGATTO (che invece identificano i prodotti e servizi offerti); si parla anche di "un ampio pacchetto di marchi difensivi/secondari il cui utilizzo da parte di terzi non autorizzati risulta in contraffazione con i primari". 

La policy è scritta con toni perentori e sembra voler lasciare intendere che il semplice fatto che un marchio sia stato registrato implichi un diritto a chiedere delle royalties e a inviare messaggi di diffida. Ovviamente non funziona così.

Innanzitutto bisogna valutare in quali classi sono stati registrati i marchi; e questa informazione fondamentale non emerge dalla policy. Inoltre un marchio come "Canichepassione" è una semplice composizione di parole di uso comune con un bassissimo livello di capacità distintiva (un livello così basso che ci fa chiedere come mai UIBM abbia accettato la domanda di registrazione e nessuno abbia fatto opposizione). Quando la capacità distintiva è molto bassa, la soglia per poter parlare di una violazione del marchio si alza molto e diventa più difficile riuscire a dimostrare l'entità del danno derivante dalla confusione indotta nel pubblico con un utilizzi di espressioni simili.

Ancora più assurdo è il fatto che in alcuni post pubblici sui social media (un esempio) la stessa azienda metta in guardia tutti gli altri utenti dall'utilizzo dell'hashtag #canichepassione e minacci di adire le vie legali contro chiunque lo utilizzi, anche inconsapevolmente. Assurdo sul piano civile del risarcimento danni per la violazione di un diritto esclusivo, ancora più assurdo sul piano penale della contraffazione (dove per di più sarebbe richiesta un'indagine sul dolo).

Come sappiamo, gli hashtag sono uno strumento con una funzione principalmente informativa e descrittiva, che permette di trovare più facilmente i post di una piattaforma social e classificarli secondo aree tematiche. Benché in alcuni casi particolari e a determinate condizioni la tutela di un marchio possa estendersi all'hashstag corrispondente, ciò può avere senso solo nel caso di marchi dotati di particolare forza o rinomanza e non certo di marchi già di per sé composti da espressioni di uso comune. Ma anche in quel caso l'utente di Instagram o Twitter potrebbe aver utilizzato l'hashtag in senso descrittivo o informativo (esempio: l'utente che utilizza l'hashtag #masterchef2021 per commentare le puntate del noto programma TV) e non in senso confusorio (chi mai potrebbe pensare che i milioni di utenti che commentano il programma TV siano dei ristoratori che vogliono portare gente nei loro locali facendo post di quel tipo?).

Personalmente, quindi, non avrei timore a utilizzare l'hashtag #canichepassione in qualsiasi modo e contesto, privato o commerciale, a esclusione di utilizzi che possano creare un'effettiva confusione nel consumatore medio di quei servizi e generare quindi in lui la convinzione che il mio post provenga dall'azienda CANICHEPASSIONE o comunque voglia far collegare le mie attività e i miei prodotti a quelli dell'azienda CANICHEPASSIONE. Ma mi sembra che quest'ultimo sia un caso marginale e poco frequente.

Quindi, in conclusione, a mio avviso l'uso degli hashtag rimane tendenzialmente libero, salvo ricadere in particolari fattispecie in cui l'hashtag non abbia una chiara valenza informativa/descrittiva (come normalmente dovrebbe essere) e si riscontri un concreto rischio di confusione.

Infine, oltre a queste riflessioni basate sul diritto dei marchi, è il caso di farne qualcuna basata sulle regole interne delle varie piattaforme. Su questo aspetto bisogna fare alcune distinzioni a seconda che siamo su Instagram, su TikTok, su Twitter o altro social network e bisogna leggere i vari termini d'uso. In generale i termini d'uso di queste piattaforme non fanno altro che stabilire il principio secondo cui bisogna evitare situazioni di confusione con marchi registrati o marchi notori, lasciando però agli utenti sia la responsabilità di queste valutazioni sia la possibilità di fare segnalazioni tramite gli appositi form. Tuttavia nessuno di essi ha esplicite regole sull'utilizzo degli hashtag con approccio distintivo o confusorio; perciò ci si rifà ai principi generali sui marchi e sugli altri segni distintivi.

NOTA: IL PRESENTE POST NON COSTITUISCE PARERE LEGALE, MA HA SOLO UNA VALENZA DIVULGATIVA E DI RIFLESSIONE TEORICA SUL TEMA 

Screenshot di una storia comparsa sul profilo Instagram dei Canichepassione


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