Riporto integralmente questo interessante articolo tratto dal sito di Italia Linux Society (vedi originale) e rilasciato in pubblico dominio sotto CC0.
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Nel 2014 la Cassazione ha sancito il diritto dei consumatori al rimborso delle licenze Microsoft Windows preinstallate su pressoché tutti i nuovi computer, indiscriminatamente fatte pagare anche a coloro che non la accettano e che abitualmente installano Linux (o qualsiasi altro sistema operativo) subito dopo l’acquisto, e da allora ILS - sul sito web dedicato sistemainoperativo.it - segue le evoluzioni di tale fenomeno, raccoglie segnalazioni, e periodicamente sollecita gli enti preposti a vigilare sulla sua effettiva applicazione.
Recentemente Luca Bonissi, appassionato sostenitore del software libero e con all’attivo più di una causa legale con diversi produttori di PC proprio per il riconoscimento del suo diritto al rimborso, ha condiviso con noi una interessante ed incoraggiante esperienza.
A marzo 2018 Luca ha avviato per la prima volta il suo nuovo PC Lenovo, un tablet convertibile Ideapad, e - come sempre - si è trovato davanti la schermata di accettazione della licenza Windows. Ha pertanto contattato Lenovo per conoscere le modalità di restituzione e di rimborso del software, prima tramite la chat del sito web e poi - prendendo spunto dal modello predisposto da ADUC - con una PEC di messa in mora, ottenendo in entrambi i casi la medesima risposta di diniego (a conferma della sistematicità con cui l’azienda respinge ogni richiesta analoga). A poco sono valse le segnalazioni all’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM), che dovrebbe essere l’ente tenuto ad intervenire in questi casi, e Luca ha deciso quindi di agire per vie legali (pur con la consapevolezza che il costo di difesa di un avvocato avrebbe ecceduto quello che poi il giudice gli avrebbe riconosciuto).
Forte del suo buon diritto, ha deciso di difendersi da solo notificando l’atto di citazione nell’estate del 2018 avanti il Giudice di Pace ma, di fronte alla difesa serrata e pugnace di Lenovo che ha sollevato ogni genere di eccezione, è dovuto poi ricorrere all’assistenza di un legale. Con il patrocinio dell’avv. Michele Beretta del foro di Monza ha quindi affrontato il giudizio, che si è chiuso con sentenza favorevole nel giugno 2019: il giudice riconosceva il diritto al rimborso e disponeva la liquidazione di 42 euro per il rimborso di Windows e di 130 euro per le spese processuali.
Dopo poco più di un mese Lenovo ha notificato un monumentale atto di citazione di 59 pagine e 15 motivi di impugnazione, con i quali si intendeva ottenere una completa revisione della sentenza indicandola, in sostanza, come errata in ogni sua parte. La lunghezza e la complessità spropositate dell’atto di citazione ha costretto Luca a difendersi costituendosi in appello, sempre con l’assistenza dell’avv. Beretta, con prima ed unica udienza a 19 dicembre 2019. Dopo un altro anno, a dicembre 2020, il giudice del Tribunale di Monza ha rigettato tutti i motivi di appello indicando che il diritto al rimborso del software preinstallato è dovuto, in quanto obbligo assunto espressamente dal produttore, e qui la sorpresa: oltre alle spese legali, il giudice ha disposto la liquidazione di un “punitive damage” di 20000 euro (si, ventimila!) per aver “abusato dello strumento impugnatorio costringendo la controparte […] a replicare […] ad una produzione difensiva assolutamente sproporzionata […] esemplificativa della prepotenza e prevaricazione di un colosso commerciale nei confronti di un modesto consumatore”. Tale somma dovrà essere versata a Luca, a titolo di risarcimento del danno da responsabilità processuale aggravata.
Come Luca ci ricorda, il giudizio di primo grado - pur venendo riconosciuto il diritto al rimborso - risulta economicamente svantaggioso: l’alta soglia di incertezza circa l’esito dal punto di vista prettamente economico di una causa di valore molto modesto costituisce un forte deterrente che, di fatto, impedisce a chi acquista un PC con preinstallato Windows (ed eventualmente altro software applicativo) di ottenerne il rimborso, anche se dovuto per diritto. Considerando poi che il normale consumatore non possiede le competenze tecniche e legali per affrontare una causa del genere senza avvocato, e che il produttore potrebbe nuovamente trascinare la causa fino alla Corte Suprema (quindi come minimo 3 anni di durata dell’intera causa), sarà molto improbabile che qualcun altro decida di far causa ai “colossi” dell’informatica, a meno che sentenze come quella del Tribunale di Monza producano un deterrente contrario a quello attuale, per effetto del quale i produttori si dovranno conformare al rispetto del contratto di licenza d’uso e rimborseranno chi ne farà richiesta senza costringere ad instaurare una causa civile.
Ringraziamo enormemente Luca Bonissi per la sua tenacia e per aver condiviso tutta la documentazione relativa al caso (pubblicata su sistemainoperativo.it), e nuovamente raccomandiamo di chiedere il rimborso delle licenze Windows inutilizzate ogni volta che si acquista un nuovo PC: anche senza intraprendere lunghe ed onerose azioni legali è sufficiente segnalare ad AGCM (tramite l’apposito form) ogni diniego ricevuto, affinché l’agenzia possa un giorno prendere atto dell’abuso perpetrato da parte di diversi grossi produttori di hardware ed infine si decida ad agire nell’interesse dei cittadini.
Chi dovesse incontrare difficoltà nel riconoscimento del proprio diritto e volesse comunque tutelarlo per vie legali, può chiedere un consiglio o una raccomandazione al gentile Luca scrivendo all’indirizzo email rimborsowindows[AT]bonissi[DOT]it
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