Siae: c’è chi dice no. La mia intervista per l'inchiesta di FerraraItalia.it

"Siae: c'è chi dice no" è il titolo di un’inchiesta in cinque tappe mirata ad approfondire le ragioni delle critiche nei confronti della Società italiana autori ed editori, curata da Stefania Andreotti per il sito www.ferraraitalia.it. Curioso (ma prevedibile) il fatto che l'ultima puntata dell'inchiesta, che coinvolgeva appunto la SIAE, sia rimasta senza risposta; anche in questo caso SIAE ha perso una buona occasione per contribuire a un dibattito che la riguarda direttamente e partecipare ad un'inizitiava di informazione e approfondimento condotta con toni equilibrati e con stile davvero giornalistico. Tutte le puntate sono rilasciate con licenza Creative Commons Attribuzione - Condividi allo stesso modo 4.0.

Il mio intervento (uscito il 22 ottobre) rappresenta la terza parte dell'inchiesta. Ecco le altre puntate.
1- Dagger Moth, un’artista ferrarese che ha revocato l’iscrizione alla Siae
2- Andrea Caovini, musicista e attivista per la tutela della musica originale 
4- Patamu, il sito dove si possono depositare le opere d’arte e di ingegno
5- Siae: c’è chi dice no. Tanti interrogativi, un fragoroso silenzio

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Oggi la parola passa a Simone Aliprandi, avvocato esperto in materia di diritti d’autore, specializzato in creative commons, copyleft e open source.

Perché si oppone alla Siae?
Io tecnicamente non mi oppongo alla Siae e ci tengo a precisarlo una volta per tutte. L’attività che svolgo sul tema Siae ha squisitamente un intento divulgativo e informativo. E se spesso i miei interventi si soffermano su aspetti critici del modello Siae è perché appunto questi aspetti critici stanno iniziando a raggiungere l’attenzione del grande pubblico, anche grazie ad attività di informazione come quella svolta da me e da altri colleghi. Ad ogni modo, non amo molto essere qualificato come uno genericamente contro la Siae. Innanzitutto perché essere contro la Siae in sé non ha molto senso; la Siae è un’istituzione pubblica e quindi si comporta in un determinato modo perché la legge italiana ed europea glielo consente. Poi bisogna anche dire che la Siae fa un lavoro prezioso (quello dell’intermediazione dei diritti d’autore) che qualcuno deve pur fare; che questo lavoro si possa fare con metodi più moderni ed efficienti è un’altra questione.

In base alla sua esperienza di consulente, quali sono le principali richieste o problematiche che gli artisti che revocano la loro iscrizione, o che non si iscrivono affatto, incontrano?
Una delle motivazioni più ricorrenti è di carattere banalmente economico. Essere associati o mandanti Siae ha dei costi fissi, mentre gli introiti che un autore può ricevere come proventi Siae sono commisurati a quanto le sue opere vengono effettivamente utilizzate. Ne consegue che, salvo il caso di opere di particolare successo, molti autori si trovano a versare in quote annuali più di quanto raccolgono. Da lì la legittima domanda: “Ma allora che senso ha?!”
Un’altra motivazione, che possiamo definire più tecnica, è il passaggio ad un’altra collecting society estera alternativa alla Siae. È questo il caso, ad esempio, di autori che hanno esigenze particolari, legate al tipo di mercato cui si rivolgono e al tipo di utilizzazioni che vengono fatte delle loro opere.
Infine, inutile negarlo, c’è anche una motivazione essenzialmente ideologica. La Siae, proprio a causa dei suoi punti dolenti (eccessiva burocrazia, poca trasparenza) non riscuote sempre grande simpatia tra gli utenti e questo fa sì che molti preferiscano prenderne le distanze.

Che cos’è il copyleft?
Il termine copyleft nasce negli anni 80 in seno al movimento del software libro e può essere oggi utilizzato con vari significati. Nel suo senso più ampio fa riferimento ad un modello alternativo di gestione del diritto d’autore attuato con l’applicazione di licenze che consentano la libera ridistribuzione delle opere e in alcuni casi anche la loro modifica. Le licenze più note su questo modello sono le licenze del progetto Gnu per quanto riguarda il software e le Creative Commons per tutti gli altri tipi di opere creative.

Quanto è diffuso questo modello?
E’ difficile quantificare, dato che le opere rilasciate con licenze open sono sparse per tutta la rete. Però basti pensare che, per qualsiasi ricerca venga fatta su Google, tra i primi risultati si trova quasi sempre una contenuto sotto licenza Creative Commons: cioè una voce di Wikipedia. L’enciclopedia libera che tutti siamo ormai soliti consultare è infatti uno degli esempi di maggior successo del modello copyleft. E se consideriamo che ad oggi la versione inglese di Wikipedia contiene più di 4 milioni e mezzo di articoli…

Auspica una fine del monopolio Siae dei diritti d’autore? Pensa sia possibile?
In generale i monopoli legali (cioè creati dalla legge) non sono segno di un sistema economico molto moderno. Ma c’è sempre il rischio che la liberalizzazione di un servizio faccia ancora più danni se non fatta con le dovute accortezze. Quello che auspico è che si arrivi ad una seria riflessione sulle nuove esigenze poste dai nuovi mercati digitali e globalizzati e che quindi si faccia una legge che ponga le giuste basi per un’evoluzione liberalizzata e concorrenziale dell’intermediazione dei diritti d’autore. Da un po’ di tempo si discute di una imminente direttiva europea che ponga i principi di base affinché tutti gli stati dell’Ue che ancora hanno situazioni di monopolio siano tenuti a innovare le loro normative. E vista l’inerzia del legislatore italiano in materia di diritto d’autore, l’intervento dall’alto dell’Unione Europea sembra l’unica soluzione.

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