Meglio ricercati che ricercatori? Un sarcastico spaccato del mondo accademico italiano nella commedia "Smetto quando voglio"
Sono andato a vedere "Smetto quando voglio. Meglio ricercati che ricercatori" e devo dire che è stato davvero spassoso. Credo che tutti quelli che ruotano (o siano a loro tempo ruotati) attorno al mondo dell'università e della ricerca debbano andare a vederlo, quantomeno per sdrammatizzare. E' il classico caso in cui si ride per non piangere... ma vi assicuro che si ride un bel po'.
E' anche un'utile occasione per portare con sé qualcuno (fidanzati/e, amici, partenti) che, non conoscendo di persona certi ambienti, non hanno mai ben capito quali fossero le dinamiche che da troppi anni ormai causano frustrazione ai giovani ricercatori.
Devo fare i miei complimenti a regista e sceneggiatore per averli messi a fuoco a tante efficacia e nello stesso tempo con questo tono canzonatorio che non rende pesante e stucchevole quella che in realtà è una seria denuncia sociale.
Al di là della vicenda, che ovviamente ad un certo punto si fa un po' surreale, è il background di personaggi e situazioni ad essere emblematico.
Primo tra tutti il professore con cui lavora il protagonista (Pietro, brillante neurobiologo, ricercatore precario presso La Sapienza). E' il classico docente superficiale, della generazione sessantottina, interessato più che altro a consolidare la sua posizione accademica attraverso logiche baronesche.
Il protagonista non riesce ad ottenere il rinnovo del finanziamento della sua ricerca anche e soprattutto a causa del poco appoggio ottenuto dal docente di fronte alla commissione di valutazione. "Pietro... la tua ricerca non è stata apprezzata dalla commissione perché è troppo difficile; non l'hanno capita... d'altronde non l'ho capita nemmeno io" riferisce come giustificazione al povero protagonista sconvolto. Per poi aggiungere che tuttavia "il problema è più politico che scientifico"; e che Pietro deve stare tranquillo dato che ha già avuto modo di parlare bene di lui ad un altro professore militante in CL.
E' anche un'utile occasione per portare con sé qualcuno (fidanzati/e, amici, partenti) che, non conoscendo di persona certi ambienti, non hanno mai ben capito quali fossero le dinamiche che da troppi anni ormai causano frustrazione ai giovani ricercatori.
Devo fare i miei complimenti a regista e sceneggiatore per averli messi a fuoco a tante efficacia e nello stesso tempo con questo tono canzonatorio che non rende pesante e stucchevole quella che in realtà è una seria denuncia sociale.
Al di là della vicenda, che ovviamente ad un certo punto si fa un po' surreale, è il background di personaggi e situazioni ad essere emblematico.
Primo tra tutti il professore con cui lavora il protagonista (Pietro, brillante neurobiologo, ricercatore precario presso La Sapienza). E' il classico docente superficiale, della generazione sessantottina, interessato più che altro a consolidare la sua posizione accademica attraverso logiche baronesche.
Il protagonista non riesce ad ottenere il rinnovo del finanziamento della sua ricerca anche e soprattutto a causa del poco appoggio ottenuto dal docente di fronte alla commissione di valutazione. "Pietro... la tua ricerca non è stata apprezzata dalla commissione perché è troppo difficile; non l'hanno capita... d'altronde non l'ho capita nemmeno io" riferisce come giustificazione al povero protagonista sconvolto. Per poi aggiungere che tuttavia "il problema è più politico che scientifico"; e che Pietro deve stare tranquillo dato che ha già avuto modo di parlare bene di lui ad un altro professore militante in CL.
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