Licenze Open Access: perché non c’è più bisogno di discuterne?

Perché non c’è più bisogno di discutere su quali siano le licenze più adeguate per fare Open Access?

Per un semplice motivo: perché la Dichiarazione di Berlino del 2003 è così chiara su quell’aspetto che non ha più senso continuare a chiedersi quali siano le licenze adeguate per fare Open Access. La Dichiarazione di Berlino è il documento manifesto in cui fin dal 2003 sono cristallizzati i principi cardine dell'Open Access e che è stato riconosciuto e sottoscritto da quasi tutti gli atenei e le istituzioni di ricerca del pianeta.

Chiunque sostiene che ci sia bisogno di ulteriore dibattito o non ha letto/compreso quel documento o ha interesse a diffondere incertezza.

Potremmo fermarci qui e rimandare alla lettura della Dichiarazione di Berlino. Ma, per chiarire la questione in modo definitivo, vediamo puntualmente che cosa dice questo documento in merito alla gestione del diritto d'autore.

La Dichiarazione di Berlino pone due semplici requisiti per rientrare nella definizione di Open Access. Il primo dei due requisiti è proprio dedicato alla gestione dei diritti d'autore e letteralmente recita:

L’autore e il detentore dei diritti del contenuto devono garantire a tutti gli utilizzatori il diritto d’accesso gratuito, irrevocabile ed universale e l’autorizzazione a riprodurlo, utilizzarlo, distribuirlo, trasmetterlo e mostrarlo pubblicamente e a produrre e distribuire lavori da esso derivati, mantenendo comunque l’attribuzione della paternità intellettuale originaria.

Le licenze per fare Open Access

Di conseguenza, usando come riferimento il set di licenze offerto da Creative Commons, le licenze coerenti con la definizione di Open Access sono:

Le altre licenze (Attribution – No Derivatives; Attribution – Non commercial; Attribution – Non commercial – Share Alike; Attribution – Non commercial – No Derivatives) escono dal solco dell'Open Access perché impongono restrizioni eccessive. 

Le principali obiezioni a questo approccio (e le relative smentite)

   0) "Stai semplificando troppo. L'Open Access è un tema più complesso!"
Indubbiamente sto semplificando [forse perché questo è un post divulgativo e non un articolo scientifico o un manuale. Per un testo più articolato rimando al mio capitolo all'interno del libro "Fare Open Access" disponibile liberamente qui]. Ad ogni modo, le cose stanno davvero così; il requisito 1 della dichiarazione di Berlino è molto chiaro e cristallino; gli aspetti dell'Open Access che meritano ulteriore dibattito sono altri (e sono per lo più legati all'interpretazione del requisito 2).

   1) Ma il sito DOAJ.org indicizza anche le riviste con licenze diverse da quelle tre...
Certo, infatti i responsabili del progetto DOAJ.org sbagliano; l'ho detto in varie occasioni e lo ribadisco. Capisco l'intento di indicizzare tutte le riviste scientifiche rilasciate con licenze open; ma se si mette tutto in un unico calderone (nel quale, pericolosamente, ci sono poi anche alcune licenze scritte dalle case editrici e non riconosciute come open da organizzazioni indipendenti) si rischia di creare confusione negli utenti. Basterebbe indicare le riviste sotto licenza CC BY e CC BY-SA con un colore diverso rispetto alle altre, o anche distinguerle con un asterisco che rimanda a una nota in cui si precisa che solo quelle sono coerenti con la definizione di Open Access.

   2) Ma l’editore XY ha una sezione “open access” sul suo sito e da lì lascia scaricare i PDF di libri e articoli senza alcuna licenza…
Certo; ma quello è marketing, non è vero Open Access. Purtroppo c'è un utilizzo strumentale del termine "open access"; spesso viene artatamente e impropriamente associato al concetto di "gratuito" per cercare di attirare traffico sul proprio sito web o, anche qui, per confondere le acque e diffondere incertezza.

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Di seguito riporto una versione "infografica" e sintetica di questo post (cliccando sull'immagine, si ingrandisce).



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