La battaglia per l'open | Cap. 2 – Che tipo di openness? | Par. 2 – Evitare di dare definizioni

LA BATTAGLIA PER L'OPEN: traduzione italiana curata da Simone Aliprandi del libro "The battle for open" di Martin Weller. Informazioni complete sul progetto di traduzione in questo post. Puoi suggerire miglioramenti nella traduzione aggiungendo un commento a questo post.


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Capitolo 2 – Che tipo di openness?

Cosa succederebbe se di fatto ci fossero sempre solo due individui distinti che passeggiano nella bruma della storia? Ogni differenza deriverebbe da quella dualità? – David Foster Wallace


Paragrafo 2 – Evitare di dare definizioni

Prima di prendere una prospettiva storica, comunque, è bene capire cosa si intende per openness. È un termine che nasconde una serie di interpretazioni e motivazioni che sono la sua benedizione e allo stesso tempo la sua maledizione. È un termine abbastanza generico da poter essere usato in più contesti, ma anche sufficientemente vago perché ognuno possa farne riferimento, rendendolo così inutile. Una soluzione potrebbe essere adottarne una definizione specifica. Per esempio possiamo dire che qualcosa è open solo se conforme alle quattro R di David Wiley (2007a):

1. Reuse – il diritto di riutilizzare il contenuto nella sua versione inalterata/letterale (es. fare un backup del contenuto)
2. Revise – il diritto di adattare, modificare, aggiustare o alterare il contenuto stesso (es. tradurre il contenuto in un'altra lingua)
3. Remix – il diritto di combinare il contenuto originale o rivisto con un altro contenuto per crearne qualcosa di nuovo (es. incorporare il contenuto dentro un altro)
4. Redistribute – il diritto di condividere copie dell'originale, le proprie revisioni/remix con altri (es. dare una copia del contenuto ad un amico)

Widley nel 2014 aveva aggiunto la quinta R di Retain (cioè il diritto di produrre, possedere e controllare copie del contenuto) (Widley, 2014). Questa prospettiva propone il riutilizzo e quindi il licencing come attributo chiave dell’openness. La Open Knowledge Foundation propone una definizione molto precisa di openness proprio perché preoccupati di un suo uso sbagliato. La loro definizione è: “Un pezzo di dati o di contenuto è open nel momento in cui si può liberamente utilizzare, riutilizzare e ridistribuire con la sola limitazione di attribuzione o di share-alike”. Ciascuno dei termini chiave è anche descritto in dettaglio (OKF senza data).
Nonostante il Reuse sia certamente importante, esso potrebbe ignorare alcune interpretazioni più ampie del termine, per esempio se è un aspetto importante della didattica open, è vero anche che fa riferimento ad una certa openness nell'approccio, ad un ethos. Un focus principalmente sul riutilizzo porta ad una visione contenuto-centrica e l’openness riguarda anche la pratica. Lo stesso vale per ogni definizione circoscritta di “openness” che possiamo adottare. In questo libro perciò io accetterò come dato di fatto che sia un termine generico, con una serie di definizioni che dipendono dal contesto. Come sostengo nel capitolo 8, non è mia intenzione creare un'ortodossia rigorosa dell’essere open, o esporre imbrogli legati all'open, ma incoraggiare un coinvolgimento sulle pratiche open da parte di accademici e di istituzioni.
Quindi se rifiutiamo una qualsiasi definizione di openness, qual è il modo migliore per affrontare l'argomento? Probabilmente è un errore il fatto stesso di parlarne come se fosse un approccio univoco; al contrario, è un “termine ombrello”. Ci può essere stato un tempo in cui  il significato era più certo, in particolare agli albori del movimento dell’open education. Per proseguire con la metafora della battaglia del capitolo 1, all'inizio si trattava semplicemente di mettere l'open contro il closed, ma man mano che le argomentazioni si sono sviluppate allora i termini sono diventati più sfumati. Non solo ci sono diversi aspetti dell'openness, ma può anche accadere che alcuni di questi ne escludano altri, o almeno che dare la priorità ad alcuni significhi toglierla ad altri. Un modo di approcciarsi è considerare le motivazioni per cui le persone hanno adottato l'openness. Seguono alcune possibili motivazioni, ma non vuole essere in alcun modo una lista esaustiva.
  • Incremento dell'audience – Il principale obiettivo qui è rimuovere le barriere che separano le persone dall'accesso alle risorse, siano esse un articolo, un libro, un corso, un servizio, un video o una presentazione. Questo significa che la risorsa deve essere gratuita, facilmente condivisibile online e con i giusti diritti. Per esempio, Davis (2011) ha scoperto che su 36 riviste e che erano pubblicate in Open Access hanno ricevuto molti più download e raggiunto un’audience molto più ampia.
  • Incremento del riutilizzo – Questo si relaziona alla precedente motivazione, ma si basa più che altro sull'intenzione che altri hanno di prendere ciò che hai creato e combinarlo con altri elementi, adattarlo e ripubblicarlo. Sono necessarie le stesse considerazioni di cui sopra, ma con un'enfasi maggiore sui diritti minimi e nel rendere la risorsa frazionabile in parti che possano poi essere adattate. Mentre la prima motivazione può significare semplicemente mettere un articolo online, la seconda potrebbe portare alla condivisione dei dati che ne sono alla base.
  • Incremento dell'accesso – La differenza dalla prima motivazione sta nell'intento di raggiungere gruppi che possono essere particolarmente svantaggiati. Potrebbe significare open access nel senso che non è necessaria nessuna qualifica di ingresso per iscriversi al corso di studio. In questo caso open non significa gratuito, dato che può essere che gli allievi abbiano bisogno di un supporto extra, che viene in qualche modo pagato. Aiutare gli allievi che spesso falliscono il loro percorso di istruzione pone il focus più sul supporto e meno sul semplice fare in modo che una risorsa sia gratuita. L'aumento dell'accesso non ha necessariamente a che vedere con il prezzo. 
  • Incremento della sperimentazione – Una delle ragioni per cui la gente adotta approcci open è che questi permettono loro di sperimentare. Ciò può significare l'uso di diversi supporti, il creare identità differenti o il provare un approccio che non rientrerebbe nei vincoli della pratica standard. Per esempio molti MOOC hanno usato la piattaforma per condurre test A/B in cui modificano una variabile in due gruppi, come la posizione di un video o il tipo di feedback fornito, e analizzano l'impatto (Simonite 2013). Il corso open crea entrambe le opportunità con grandi numeri e frequenti presentazioni, all'interno del quadro etico che lo consente. Gli studenti MOOC non pagano, quindi c'è un accordo diverso con l'istituzione scolastica.
  • Incremento della reputazione – Essere in rete e online può aiutare a migliorare il profilo di un individuo o di una istituzione. L'openness consente a più persone di vedere ciò che gli autori realizzano (la motivazione dell'incremento della audience), ma l'obiettivo principale è quello di migliorare la loro reputazione. Come accademico, operare nell'ambito open, pubblicare apertamente, creare risorse online, essere attivo sui social media e stabilire identità online possono essere buoni metodi per ottenere il riconoscimento da parte dei colleghi, che può portare a conseguenze più tangibili come inviti a presentazioni in keynote o a collaborazioni nella ricerca. I problemi legati alla reputazione individuale e all'identità sono trattati nel capitolo 7 dedicato all'open scholarship.
  • Incremento delle entrate – Nel capitolo precedente ho sollevato i problemi dell'openwashing e dell'usare l'openness come strada per un successo commerciale; ma è anche vero che un approccio open o parzialmente open può essere un efficace modello di business. L'approccio freemium funziona così, quando un servizio è per la maggior parte open ma alcuni utenti pagano per servizi extra, come Flickr ad esempio. Se questo è l'obiettivo allora l'openness lavora per creare una significativa domanda del prodotto. Per le università ciò equivale ad un aumento di studenti nei corsi formali.
  • Incremento della partecipazione – Potrebbe essere necessario raccogliere informazioni da un pubblico senza pagare per accedervi. Può essere il caso del fare crowdsourcing nella ricerca oppure dell'ottenere feedback su un libro o su una proposta di ricerca. Essere open permette agli altri di accedere e di fornire gli input richiesti.


Per dimostrare come queste diverse motivazioni possano influenzare la natura dell'openness, permettetemi di porre uno scenario ipotetico: un'università vuole creare un MOOC e chiede al proprio esperto di tecnologie per la formazione di formulare una proposta. I dirigenti dell'università hanno sentito parlare dei MOOC e pensano che si dovrebbe essere attivi in quel settore. Contattano il nostro esperto di tecnologie per la formazione, che a sua volta si consulta con un numero di stakeholder diversi e chiede loro: “Qual è l'obiettivo del MOOC? Che cosa vi aspettate?”. Chi si occupa del marketing risponde che vuole aumentare il profilo e la reputazione online dell'università. Secondo questa prospettiva il MOOC proposto si concentrerà su un tema conosciuto, mettendoci un noto professore. Il tema si intitolerà “Vita su Marte”, sarà una produzione costosa e di alta qualità che funzionerà come vetrina dell'università e attirerà l'attenzione della stampa.
Quando poi si consulta il decano della Facoltà di Scienze, lui invece risponderà che sono preoccupati per il reclutamento di studenti nei corsi post laurea: vorrebbero quindi un MOOC che porti studenti da fuori che paghino tasse elevate. Il modello che potrebbe funzionare qui è quello che prevede le prime sei settimane del corso in modalità open targettizzato su una specifica audience, che si possa poi iscrivere dopo le prime sei settimane.
L’esperto di tecnologie per la formazione parla poi con un docente che vorrebbe provare l'approccio gestito dagli studenti. Gli insegnanti si sentono frustrati dall'approccio client-oriented dell'insegnamento convenzionale e vedono nei MOOC un'opportunità di provare un metodo didattico più radicale, che fino ad ora è stato loro impedito. Non lo considerano particolarmente impattante in termini di pubblico, ma piuttosto un'esperienza di apprendimento ricca per chi la prova, dato che gli studenti stessi si creeranno il loro curriculum. La sua proposta è un MOOC basato su Wordpress che mostri una serie di tecnologie che permettano agli studenti di collaborare alla creazione del contenuto.
Successivamente l’esperto di tecnologie per la formazione ha una conversazione con il comitato finanziatore, che vuole portare gruppi poco rappresentati nelle discipline scientifiche. Avranno bisogno di molto supporto, ma sono d'accordo nel finanziare la fornitura di mentori e di gruppi di sostegno nella comunità. Quello che suggeriscono è quindi un MOOC basato sull'adattare materiali esistenti, con target molto mirato e minime barriere tecniche.
Per ciascuna di questa prospettive il MOOC sarebbe diverso: sempre open, ma con un'enfasi differente sulla forma che l’openness dovrebbe prendere. Allo stesso modo Haklev (2010) propone quattro obiettivi per lo sviluppo di OER che possono essere applicati all'approccio open in generale:
  • Produzione trasformativa – Qui il processo di produzione modifica coloro che ne sono coinvolti. Può avvenire attraverso una riflessione sul processo di insegnamento o sull'esposizione a modelli di pratica open, con l'obiettivo principale di cambiare un individuo o, più frequentemente, la prassi di un'istituzione.
  • Uso diretto – L'obiettivo per un allievo è quello di essere in grado di usare le risorse in modo indipendente, per cui deve essere completo.
  • Riutilizzo – A differenza del precedente obiettivo, qui l'accesso dell'allievo è mediato dal riutilizzo di un terzo, ad esempio un insegnante. Creare materiali che gli insegnanti possano usare implica un'attenzione diversa alle caratteristiche richieste rispetto ad un focus direttamente sul fruitore finale.
  • Trasparenza/consultazione – L'obiettivo qui è informare gli utenti su come il tema è insegnato.
Gli obiettivi possono poi mescolarsi ed essere complementari gli uni con gli altri. Per esempio, il movimento open textbook è ampiamente giustificato in termini di costi, in quanto con la creazione di libri di testo gratuiti c'è un considerevole risparmio per gli studenti, ma c'è anche una motivazione di riutilizzo, dato che i docenti possono adattare liberamente il libro alle loro specifiche necessità.

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