Accesso aperto in Italia: tra sogno e realtà

Antonella De Robbio ci offre una completa ricostruzione del quadro normativo italiano in materia di open access.
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Uno sguardo retrospettivo e la necessità di una norma

A distanza di nove anni dalla Dichiarazione di Messina [1] formulata per promuovere l’adesione delle università italiane alla ”Dichiarazione di Berlino per l’accesso aperto alla letteratura scientifica” [2], l’Italia si è finalmente dotata di una “Legge OA” sull’accesso aperto alla ricerca. La Legge 7 ottobre 2013, n. 112 [3] - di conversione del Decreto Legge 9 agosto 2013 n. 91 “Disposizioni urgenti per la tutela, la valorizzazione e il rilancio dei beni e delle attività culturali e del turismo” - che introduce l'open access come percorso "obbligato" nelle ricerche finanziate con fondi pubblici, è ormai una realtà e l’impatto in termini organizzativi che deriva dalla sua applicazione avrà ripercussioni di una certa rilevanza negli ambienti bibliotecari. Sebbene sia arduo definire “legge” il disposto normativo in questione, si tratta comunque di una novità piuttosto rilevante da accogliere con favore, sia dal punto di vista formale sia da quello organizzativo.

Nel corso di questo decennio la comunità scientifica accademica da più parti aveva in più modi riconosciuto l’importanza dell’accesso pieno e aperto alle informazioni e ai dati: tramite l’organizzazione di una serie di iniziative che si sono collocate a vario livello entro le istituzioni e attraverso l’attuazione di attività concrete che hanno preso corpo entro gruppi di lavoro nazionali e locali. Tali attività in particolare hanno prodotto un background tecnico di archivi aperti istituzionali (institutional repository IR) [4] ben consolidati entro un’infrastruttura organizzativa che poggia sulle solide basi dell’interoperabilità del protocollo OAI-PMH. A corredo in questi anni il gruppo Open Access della CRUI [5] ha elaborato ha elaborato anche tutta quella documentazione - raccomandazioni, linee guide, regolamenti, politiche e piani di sviluppo - indispensabile ad una corretta condivisione di buone prassi al fine di ottimizzare tempi, risorse e processi, generando tutto quel know-how utile a creare un fervido movimento italiano in connessione con l’Europa.
A questo punto c’era bisogno di una norma che una volta per tutte sancisse – entro un quadro normativo – la necessità di rendere disponibili in accesso aperto i risultati delle ricerche finanziate con fondi pubblici.

Punti di forza e punti di debolezza della norma

In Italia la clausola è collocata entro un quadro normativo che si riferisce ai beni culturali. Il disposto infatti è collocato entro l’art. 4 del decreto “valore-cultura” che è rubricato come “Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo delle biblioteche e degli archivi e per la promozione della recitazione e della lettura”, come se l’accesso aperto possa favorire l’accrescimento delle biblioteche piuttosto che della ricerca. Semmai saranno le biblioteche che attraverso gli strumenti e le vie dell’accesso aperto possono favorire lo sviluppo della ricerca.

Articolo 4, commi 2, 3 e 4 (testo coordinato) legge 112/2013

«2. I soggetti pubblici preposti all’erogazione o alla gestione dei finanziamenti della ricerca scientifica adottano, nella loro autonomia, le misure necessarie per la promozione dell’accesso aperto ai risultati della ricerca finanziata per una quota pari o superiore al 50 per cento con fondi pubblici, quando documentati in articoli pubblicati su periodici a carattere scientifico che abbiano almeno due uscite annue. I predetti articoli devono includere una scheda di progetto in cui siano menzionati tutti i soggetti che hanno concorso alla realizzazione degli stessi. L’accesso aperto si realizza:
a) tramite la pubblicazione da parte dell’editore, al momento della prima pubblicazione, in modo tale che l’articolo sia accessibile a titolo gratuito dal luogo e nel momento scelti individualmente;
b) tramite la ripubblicazione senza fini di lucro in archivi elettronici istituzionali o disciplinari, secondo le stesse modalità, entro diciotto mesi dalla prima pubblicazione per le pubblicazioni delle aree disciplinari scientifico-tecnico-mediche e ventiquattro mesi per le aree disciplinari umanistiche e delle scienze sociali.
2-bis. Le previsioni del comma 2 non si applicano quando i diritti sui risultati delle attività di ricerca, sviluppo e innovazione godono di protezione ai sensi del codice di cui al decreto legislativo 10 febbraio 2005, n. 30;
3. Al fine di ottimizzare le risorse disponibili e di facilitare il reperimento e l’uso dell’informazione culturale e scientifica, il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo e il Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca adottano strategie coordinate per l’unificazione delle banche dati rispettivamente gestite, quali quelle riguardanti l’anagrafe nazionale della ricerca, il deposito legale dei documenti digitali e la documentazione bibliografica
4. Dall'attuazione delle disposizioni contenute nel presente articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. Le pubbliche amministrazioni interessate provvedono con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente»

Certo sarebbe stato opportuno un richiamo alla legge sul diritto d’autore, norma di rango molto forte in Europa e anche in Italia, collocata in alto entro la gerarchia delle fonti normative. Meglio sarebbe stato prevedere una specifica eccezione inserita nel capitolo V della legge italiana sul diritto d’autore, che si riferisce alle eccezioni, formulazioni obsolete che attualmente lasciano poco spazio alla libera ricerca e didattica.
Inoltre una norma sull’accesso aperto alla ricerca avrebbe dovuto essere incardinata entro una legge emanata dal ministero competente per la ricerca, il MIUR, Ministero dell’Università e della Ricerca e non collocata in un articolo – in modo piuttosto casuale – che riguarda i beni museali. Se poi si considera che i commi che riguardano l’OA sono posti in seguito ad un primo comma che riguarda la lettura nelle biblioteche pubbliche delle opere letterarie, questo la dice lunga sulla confusione concettuale di chi ha formulato l’intero articolo: lettura nelle biblioteche pubbliche in parallelo con la possibilità di una “lettura pubblica” di articoli scientifici. Chi volesse andare a vedere gli emendamenti al Senato si accorgerebbe con sgomento come l’idea di accesso aperto sia – in quella sede – totalmente stravolta nel suo significato più profondo e come in certi casi si siano approvati emendamenti volti a cambiare il significato di termini tecnici che avevano un loro specifico significato semantico a favore di terminologie sui generis che comporteranno non poche difficoltà in termini di applicazioni pratiche [6].
In particolare le critiche sono sorte in riferimento all'allungamento posto al periodo di embargo che nel testo normativo è fissato in 18 mesi per le pubblicazioni delle aree scientifico-tecnico-mediche e 24 mesi per le aree umanistiche e delle scienze sociali, un periodo molto distante dai 6/12 mesi richiesti dalle raccomandazioni europee del 12 luglio 2012 [7]. L’embargo è un periodo di tempo – stabilito dalle politiche di ciascun editore e per ciascuna rivista - durante il quale il lavoro depositato in un respository istituzionale risulta secretato ed accessibile solo per la parte dei metadati. Mantenere un embargo più lungo rispetto ad altri Paesi comporterebbe un tasso di citazioni più basso per le pubblicazioni degli autori italiani, una restrizione che non gioverebbe di certo, in termini di impatto, alla ricerca del nostro Paese, soprattutto in vista dei recenti e futuri esercizi della ricerca in Italia.
Un altro punto debole sta nella mancanza di riservare un finanziamento adeguato, criticità che denota la mancanza di una volontà politica che davvero promuova e attui l’accesso aperto. La norma infatti dispone che non ci debbano essere nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.
Ma come ci dice Roberto Caso, giurista a Trento “il confine della formalizzazione legislativa del principio è oramai varcato ed è possibile solo muoversi oltre: applicando il dettato della legge” anche se la formulazione finale non è la migliore possibile e quindi anche la conseguente applicazione pratica potrebbe comportare dubbi, incertezze, ambiguità in quanto il disposto “costituisce un’applicazione molto parziale della politica europea in materia di Open Access e mischia elementi (non i migliori) presi dai vari modelli legislativi di riferimento” [8].

Il confronto con la norma tedesca

In termini di confronto con la parallela norma tedesca, va innanzi tutto osservata la semplice linearità del disposto normativo tedesco – rispetto alla contorta formulazione italiana - il quale, come sottolinea Maria Chiara Pievatolo è volto alla piena tutela degli autori contro i soprusi degli oligopoli. “Non obbliga all'OA, ma libera gli autori, usando sottilmente il diritto, originario, dell'autore contro quello, derivato, dell'editore. Visto che la retorica dei sostenitori del copyright si fonda sempre sui poveri autori e mai sui ricchi editori, il legislatore tedesco spunta sottilmente quest'arma: Der Teufel steckt im Detail :-)” [9].

L’autore di un contributo scientifico che ha avuto origine nell’ambito di un’attività di ricerca e insegnamento finanziata almeno per metà da fondi pubblici ed è pubblicato in una collezione che esce periodicamente almeno due volte l’anno ha il diritto - anche se ha concesso all’editore o al curatore un diritto d’uso esclusivo – di rendere pubblicamente accessibile, dopo la scadenza di dodici mesi dalla prima pubblicazione, il contributo nella versione del manoscritto accettato, fin tanto che non serva a uno scopo commerciale. La fonte della prima pubblicazione deve essere indicata. Un accordo divergente a detrimento dell’autore è senza effetto.

In effetti la formulazione tedesca racchiude due nuclei ben congegnati tra loro: - responsabilizza gli autori che a questo punto - liberati dai legacci di contratti editoriali che li obbligano a cessioni dei diritti per i soliti noti motivi - hanno il diritto di rendere pubblicamente accessibili i loro lavori ... se non lo fanno non possono dire che è colpa degli editori
- obbliga le istituzioni a dotarsi di un regolamento, considerato che comunque un ateneo o un’istituzione di ricerca deve avere uno strumento regolamentare in materia e in tale direzione potrebbe usare mandati anche forti con i propri afferenti, non solo suggerendo o promuovendo ma anche citando la norma governativa ...
Oltre all’embargo più breve nella norma tedesca, c’è anche l’affermazione esplicita della nullità dei patti contrari, che rafforza il diritto dell’autore e questo non è un dettaglio di poco conto considerata la forte impronta europea del diritto morale entro il diritto d’autore.
Dal punto di vista del campo di applicazione entrambe le norme si riferiscono ai soli articoli pubblicati su periodici a carattere scientifico (non divulgativi) “che abbiano almeno due uscite annue”. Le monografie restano pertanto escluse, per ora, dalla sfera dell’Open Access, ma questa scelta può avere delle valide ragioni riconducibili a vari fattori, tra i quali le stesse finalità didattiche e non scientifiche dell’opera, o il fatto che alcune monografie generano profitti per gli autori o ancora il fatto che sussistono difformità anche sensibili nei regolamenti per le pubblicazioni scientifiche nei vari atenei che finanziano – tramite i dipartimenti – monografie dei loro afferenti.

Cosa dovremo fare da ora in avanti

Raggiungere questo risultato non è stato facile. È stata una battaglia durissima, decine di salti ad ostacolo tra emendamenti posti da ogni schieramento politico - in sede di dibattito parlamentare al Senato - che alla fine hanno comportato un testo che è stato molto difficile poter raddrizzare. Quasi impossibile cercare di portare a casa un risultato migliore come invece ha fatto la Germania dove la clausola OA sta dentro una legge emanata dal ministero della ricerca. Ma il risultato va accolto positivamente e deve essere ricondotto e riadattato entro un contesto tutto italiano che si è evoluto seppur lentamente, in modo costante. Anche perché per fortuna, all’ultimo momento – alla Camera in fase di conversione del decreto - Ilaria Capua e Stefano Quintarelli hanno sottoscritto una richiesta di modifica, accettata come impegno del Governo [10], di riallineare la neonata norma italiana al periodo di embargo suggerito dalle Raccomandazioni europee.
Il legislatore italiano, come quello tedesco, lascia comunque libera scelta di usare una delle due vie previste dall’Open Access, ma mentre nel disposto tedesco usa un generico “rendere pubblicamente accessibile”, il legislatore italiano indica espressamente le due vie (aurea e verde) come realizzazioni dell’accesso aperto:
- tramite la pubblicazione da parte dell’editore, al momento della prima pubblicazione, in modo tale che l’articolo sia accessibile a titolo gratuito dal luogo e nel momento scelti individualmente;
- tramite la ripubblicazione senza fini di lucro in archivi elettronici istituzionali o disciplinari, secondo le stesse modalità
Alla fine, una norma - anche se non perfetta - serve come richiamo a chi non vuol sentire, è una chiara risposta a chi non vuole porsi domande sul perché - a seguito di un finanziamento pubblico - i risultati della sua ricerca non possano essere aperti e disponibili ad essere testati da altri gruppi di ricerca, in modo indipendente.
In particolare ci sarà da lavorare in modo trasparente e coordinato a livello nazionale alla redazione di policy e regolamenti entro le istituzioni che devono essere emanati al più presto. Sarà necessario come primo step prevedere degli obblighi di deposito di tutti i risultati delle ricerche prodotti dai Programmi di Ricerca Universitari di Interesse Nazionale (PRIN) [11] e alle ricerche svolte grazie al Fondo per gli Investimenti della Ricerca di Base (FIRB) [12] dotando gli archivi aperti dell’apposito modulo per il caricamento dei paper entro i repository. Un altro aspetto fondamentale è quello di nominare un referente tecnico per l’Open Access in ogni istituzione di modo che vi sia un collegamento pratico (e non solo di facciata) al network nazionale che deve avere una struttura agile e snella. La trasparenza nelle licenze deve essere posta come una priorità, ma deve esserci una consapevolezza concreta ed efficace di quello che comporta l’adozione di una licenza piuttosto che un’altra. Un tema caldo, strettamente connesso, è quello dei dati aperti alla ricerca, proprio perché nel contesto dell’Open Access il libero accesso ai dati primari prodotti nell’ambito della ricerca scientifica e finanziati da fondi pubblici è innanzitutto un problema etico.

NOTE

[1] sottoscritta nel novembre 2004 da un nucleo di atenei che nel corso di questo decennio si è allargato fino a comprendere 71 atenei italiani e circa una ventina di centri di ricerca italiani
[2] Una versione italiana della Dichiarazione di Berlino per l’accesso aperto alla letteratura scientifica si trova sul sito del Max-Planck Institute http://openaccess.mpg.de/67682/BerlinDeclaration_it.pdf
[3] Testo del decreto-legge 8 agosto 2013, n. 91 (in Gazzetta Ufficiale - serie generale - n. 186 del 9 agosto 2013), coordinato con la legge di conversione 7 ottobre 2013, n. 112 (in questa stessa Gazzetta Ufficiale alla pag. 1), recante: «Disposizioni urgenti per la tutela, la valorizzazione e il rilancio dei beni e delle attivita' culturali e del turismo.». (13A08109) (GU Serie Generale n.236 del 8-10-2013)
http://www.gazzettaufficiale.it/atto/serie_generale/caricaDettaglioAtto/originario?atto.dataPubblicazioneGazzetta=2013-10-08&atto.codiceRedazionale=13A08109&elenco30giorni=true
[4] Gli archivi aperti istituzionali in Italia sono circa 90
[5] http://www.crui.it/HomePage.aspx?ref=894
[6] Ci si riferisce al termine “unificazione” cambiato a seguito di un emendamento votato dalla maggioranza. Al comma 3, sostituire le parole: «la piena integrazione, interoperabilità e non duplicazione» con le seguenti: «l'unificazione».
[7] Antonella De Robbio. Lo spazio aperto della conoscenza Il Bo 3 ottobre 2012 http://www.unipd.it/ilbo/content/lo-spazio-aperto-della-conoscenza
[8] Roberto Caso La legge italiana sull'Open Access. Uno sguardo dall'interno. Il Bo 28 ottobre 2013 http://www.unipd.it/ilbo/content/la-legge-italiana-sullopen-access-uno-sguardo-dallinterno
[9] L’accesso aperto è legge - in Germania di Maria Chiara Pievatolo http://minimacademica.wordpress.com/2013/09/20/laccesso-aperto-e-legge-in-germania/
[10] Qui il testo della mozione Capua/Quintarelli
http://banchedati.camera.it/sindacatoispettivo_17/showXhtml.asp?highLight=0&idAtto=7498&stile=7
[11] I PRIN hanno sostituito la forma di finanziamento della Ricerca Universitaria, nota come MURST 40%
[12] istituito dalla legge finanziaria 2001 (art. 104) con l'obiettivo di rendere disponibile uno strumento di sostegno finanziario specificamente destinato alla ricerca di base

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