Oggi è il 18 marzo e domani finalmente diventa operativo a tutti gli effetti (per il passaggio dei 90 giorni previsti dalla legge dalla data di approvazione della riforma) il principio dell'open by default in materia di dati pubblici.
Si tratta di un principio derivante dal combinato disposto degli articoli 52 e 68 del Codice Amministrazione Digitale (CAD).
L'articolo 52 dispone infatti al comma 2 che
Si tratta di un principio derivante dal combinato disposto degli articoli 52 e 68 del Codice Amministrazione Digitale (CAD).
L'articolo 52 dispone infatti al comma 2 che
I dati e i documenti che le amministrazioni titolari pubblicano, con qualsiasi modalità, senza l'espressa adozione di una licenza di cui all'articolo 2, comma 1, lettera h), del decreto legislativo 24 gennaio 2006, n. 36, si intendono rilasciati come dati di tipo aperto ai sensi all'articolo 68, comma 3, del presente Codice.
Mentre l'articolo 68, comma 3 (espressamente richiamato) fornisce la definizione del concetto di "dati di tipo aperto":
sono dati di tipo aperto, i dati che presentano le seguenti caratteristiche:
1) sono disponibili secondo i termini di una licenza che ne permetta l'utilizzo da parte di chiunque, anche per finalità commerciali, in formato disaggregato;
2) sono accessibili attraverso le tecnologie dell'informazione e della comunicazione, ivi comprese le reti telematiche pubbliche e private, in formati aperti ai sensi della lettera a), sono adatti all'utilizzo automatico da parte di programmi per elaboratori e sono provvisti dei relativi metadati;
3) sono resi disponibili gratuitamente attraverso le tecnologie dell'informazione e della comunicazione, ivi comprese le reti telematiche pubbliche e private, oppure sono resi disponibili ai costi marginali sostenuti per la loro riproduzione e divulgazione. [...]
Soffermiamoci sul punto 1 di questa definizione. Vi è un chiaro riferimento a concetto di licenza. Ne deriva quindi che, in sostanza, se una pubblica amministrazione non applica una specifica licenza ai suoi dati, l'ordinamento considera tali dati come se fossero sotto una licenza di tipo aperto.
"Evviva! - diranno alcuni - Finalmente è arrivato l'open data in Italia!". E io - sia ben chiaro - sono il primo a gioire per questa illuminata innovazione legislativa.
Da giurista mi sento però di sollevare qualche sottile perplessità di tecnica legislativa.
Primo dubbio: Era davvero necessario far riferimento al concetto di licenza? E se proprio vogliamo parlare di licenza, a quale licenza ci riferiamo? Ce ne sono tante, alcune più open altre meno open. Alcune internazionali, altre più "nostrane". E di certo non sono tutte uguali negli effetti.
Secondo dubbio: Non era meglio rimanere più generici nella definizione rendendola quindi più ampia? Ovvero, scrivendo una cosa del genere...
1) sono resi disponibili e utilizzabili da parte di chiunque, anche per finalità commerciali, in formato disaggregato;
L'effetto sarebbe stato lo stesso, ma almeno si sarebbero evitati equivoci sul tipo di licenza... come quelli che ho già sentito circolare.
"Qual è la licenza più coerente con questa definizione?" ci si chiede. "La Creative Commons BY" dicono alcuni, "la Italian OpenData License" dicono altri...
La più libera (ovvero quella che consente una maggiore libertà d'uso dei dati) nonchè quella che creerebbe meno problemi di gestione dei diritti e di compatibilità con altre licenze è la CC0 (Creative Commons Zero), e io sono il primo tra i suoi sostenitori. Se non fosse che... la CC0 tecnicamente non è una licenza. Si tratta infatti di un waiver, ovvero di una dichiarazione pubblica di rinuncia (rinuncia all'esercizio dei diritti di utilizzazione). [per capire meglio questa distinzione si veda questo post].
Quindi... come interpretare la nuova legge? La parola licenza va interpretata in senso stretto o è ammessa anche un'interpretazione estensiva che ricomprenda la CC0 (o eventualmente altro strumento simile)?
IMHO, tutti questi dubbi non avrebbero ragion d'essere se la parola "licenza" non fosse stata citata nel testo della legge. In altre parole... perchè fare riferimento al concetto di licenza (che appunto può essere foriero di equivoci interpretativi) quando non è necessario?
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Aggiornamento del 20 maggio 2013
Questo articolo è stato ispirazione per il mio intervento presso l'evento "L'open source in tour" tenutosi a Vicenza il 16 maggio 2013.
Ecco il filmato dell'intervento e di seguito le slides (nelle quali si trovano anche alcuni aggionamenti rispetto al testo dell'articolo).
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Aggiornamento del 20 maggio 2013
Questo articolo è stato ispirazione per il mio intervento presso l'evento "L'open source in tour" tenutosi a Vicenza il 16 maggio 2013.
Ecco il filmato dell'intervento e di seguito le slides (nelle quali si trovano anche alcuni aggionamenti rispetto al testo dell'articolo).
Commenti
PS E dovremo anche vedere come scriveranno i Regolamenti ex art 52, nonché come l'Agenzia per l'Italia Digitale scriverà le linee-guida.
Questa e altre osservazioni erano già state avanzate all'atto della delega contenuta nell'anticorruzione (la definizione è lì, pari pari: art. 1, comma 35, lett. f), peccato che le criticità siano rimaste le stesse. Il decreto ci da' molti altri spunti, purtroppo, e credo servirà un'opera certosina di interpretazione e coordinamento. P.S. Altro gioco da fare? i rimandi, tanti, all'art. 11 d. lgs. 150/09. Quello abrogato, insomma.
In più, qualcuno mi fa acutamente notare che anche il riferimento ai formati aperti inserito nel punto 2 può essere foriero di confusione, perché sembrerebbe escludere - ad esempio - dai dati liberi quei contenuti che, pur essendo privi di vincoli di copyright, vengono pubblicati in un formato proprietario.
Simone l'esclusione è chiara: i dati sono liberi se congiuntamente ricorrono i requisiti dell'assenza di privativa e del formato aperto. Pertanto, ritengo che quelli in formato proprietario ma non licenziati siano dati pubblici non aperti ai sensi del 68 (al massimo sono ad una o due stelle secondo il criterio W3C).