La metafora del castello e della radura | Cap.1, Par. 1 di "Cronache dalla radura"

Riporto il paragrafo 1 del capitolo 1 del libro "Cronache dalla radura. Riflessioni ed esperienze sulla complessità delle relazioni di coppia" (informazioni complete sul libro e link per ordinarlo disponibili su https://aliprandi.org/books/radura/).
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Immaginate un’ambientazione psuedo-medievale come quella dei film fantasy, fatta di castelli arroccati e lande oscure, di radure nebbiose, foreste, fiumi e paludi. In questo panorama, qua e là si trovano anche dei castelli, solitamente ben protetti da mura, fossato, ponte levatoio. Ogni castello appartiene a un unico castellano, il quale lo abita, lo mantiene, lo difende, lo arreda, lo abbellisce… e ogni tanto decide di ospitarvi qualcuno o addirittura di dare dei ricevimenti. A volte il castello viene anche assediato da qualche forestiero proveniente dalla radura e il castellano deve scegliere se difendersi (e magari rinforzare ulteriormente le mura e il fossato) oppure scendere a patti con l’invasore e condividere con lui la sua corte.
Tuttavia, benché il castello sia dotato di tutte le comodità e magari anche di paggi e damigelle di corte, arriva un momento in cui il padrone del castello inizia a percepire poco appagante la sua vita all’interno delle mura. Può sembrare paradossale ma solitamente questo accade quando il castellano ha terminato i lavori di arredamento e di abbellimento del suo castello. Proprio quando tutto sembra pronto per potersi godere la vita nella sua reggia, egli si accorge che non è rimanendo lì nella sua reggia che può essere realmente felice.
Che fare allora? I più prudenti lasciano semplicemente il ponte levatoio abbassato e ordinano alle guardie di rinfoderare le spade e di permettere ai forestieri di entrare all’interno delle mura. I più audaci invece prendono una borsa con le provviste ed escono nella radura a vedere com’è il mondo al di fuori del castello.
Lì nella radura il castellano inizia a sperimentare i suoi limiti, ad avere paura, a sentire la solitudine, ma nello stesso tempo capisce che lì ci sono tante cose intriganti da conoscere e che se le stava perdendo. È così che pian piano inizia a mettere a fuoco che i forestieri che vagano per la radura come lui, e che a volte hanno provato ad assediare, il suo castello altro non sono che suoi pari, castellani come lui, abitanti di castelli limitrofi, che semplicemente avevano sentito un po’ prima di lui l’esigenza di andare a esplorare la radura.
Alcuni di questi hanno la fortuna di trovare altri castellani con cui unire le forze, stringere alleanze, fondere le loro proprietà terriere e magari costruire insieme un castello ancora più bello e grandioso. Altri, sopraffatti dallo sconforto, dalla stanchezza, o anche dalla pigrizia, decidono di “rientrare nel proprio castello e tornare alla vita di prima. Una cosa è però certa: anche questi secondi, quando faranno ritorno nel proprio castello, non saranno gli stessi di prima; saranno infatti cresciuti, avranno aperto le loro vedute; e sicuramente, quando qualcuno busserà alla porta del castello, saranno sicuramente più ospitali e disponibili di quanto non fossero in origine.
Uomo forte e giovane a quante donne hai sorriso già? 
Ridi, non avere paura, il castello è lontano ormai. 
Bacia il tuo destriero, ridi Boccadoro, che la foresta è tua. [2]
La metafora è quindi completa. Il castello rappresenta appunto la nostra area di comfort, quella che ci siamo formati in base alle nostre esperienze e in base anche alla matrice affettiva da cui proveniamo (ambiente familiare, amici, colleghi), quella in cui ci sentiamo signori incontrastati e in cui ci muoviamo pienamente a nostro agio. D’altronde, è stata costruita da noi e su misura per noi; come potrebbe essere diversamente?
La radura è invece la vita relazionale, quella vera, quella che ci espone e ci disorienta, cioè quella fatta di relazioni autentiche, basate sul confronto, sull’incontro... e a volte anche sullo scontro.
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[2] Tratto da “Boccadoro”, brano dei Timoria dall’album “2020 Speedball”.

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